La Mostra
L‘esposizione intende fornire uno spaccato della situazione altoatesina negli anni Sessanta allargando lo sguardo alle vicende storiche che hanno interessato il Sudtirolo dal 1918. Gli anni di esacerbazione della “questione sudtirolese” si prestano a molteplici prospettive di analisi e risvegliare l’interesse per gli accadimenti di allora può rivelarsi costruttivo.
L’attenzione della mostra si focalizza su coloro che furono pronti a prestare “sacrifici per la libertà”, gli attivisti e simpatizzanti del BAS (Befreiungsausschuss Südtirol), il Comitato per la liberazione del Sudtirolo, e sui particolari sviluppi della “questione sudtirolese” fino al “Secondo Statuto di Autonomia”.
Mira inoltre a ricordare tutte le persone rimaste vittime di quegli anni di “conflitto per l’Alto Adige”
Antefatti
Il “conflitto sudtirolese” ha origine con l‘occupazione italiana del Sudtirolo seguita, nel novembre 1918, alla Prima guerra mondiale e nella presa di potere dei fascisti in Italia nel 1922. I provvedimenti decisi dal governo fascista guidato da Benito Mussolini per l‘“italianizzazione“ e la “maggiorizzazione” del Sudtirolo, attuata attraverso la migrazione in massa di cittadini italiani, e la cosiddetta “opzione” pattuita fra Hitler e Mussolini misero in notevoli difficoltà la popolazione sudtirolese di lingua tedesca.
Dopo la Seconda guerra mondiale l‘Italia proseguì con l‘avviata politica di “maggiorizzazione” portando, nel 1957, al raduno dei sudtirolesi a Castel Sigmundskron e alla costituzione del Befreiungsausschuss Südtirol.
Nomi
Intorno alla figura di Sepp Kerschbaumer di Frangart andarono riunendosi a Bolzano, a partire dal 1965, cittadini sudtirolesi di tutte le fasce d’età, mossi dal desiderio di manifestare contro la situazione sempre più disperata della popolazione di lingua tedesca.
Nel Tirolo settentrionale nacque, pressoché in contemporanea, un gruppo del BAS cui aderirono attivisti di altre regioni austriache e studenti della Germania. I contatti fra i cinque gruppi complessivi in cui si articolava il BAS erano solo sporadici e i loro aderenti avevano orientamenti e ideologie politiche differenti. Ad accomunare tutti gli attivisti del BAS era tuttavia la volontà di fare qualcosa per la situazione degli sudtirolesi di lingua tedesca, la disponibilità a compiere un “sacrificio per la libertà”!
E questo nonostante fosse ormai chiaro che l’Italia avrebbe attuato severe repressioni contro gli attivisti del BAS, spingendosi persino a compiere torture. Dopo l’uccisione dell’attivista BAS Luis Amplatz emerse con evidente chiarezza che per alcuni elementi dello Stato italiano anche l’omicidio era ormai una misura tollerabile.
Le persone presentate nelle pagine che seguono sono solo un piccolo elenco dei numerosi attivisti e simpatizzanti del BAS operanti nel Sudtirolo, in Austria e in Germania.
Modi
Resistenza politica
A partire al 1957 gli attivisti del BAS della prima ora cercarono di richiamare l’attenzione sui problemi della popolazione sudtirolese di lingua tedesca con atti di resistenza politica.
Fra questi rientrava la distribuzione di volantini e operazioni, come issare la bandiera tirolese e dipingere l’aquila tirolese, stemma del Tirolo, sulle pareti montane.
Questi simboli, importanti per i sudtirolesi, erano stati vietati sin dall’epoca fascista. Anche dopo la Seconda guerra mondiale il loro uso era severamente sanzionato.
Attentati
Dopo che il Senato italiano ebbe approvato una nuova legge che, con mero atto amministrativo, prevedeva la possibilità di revocare la cittadinanza agli optanti di ritorno in Sudtirolo e giudicati “incompatibili con il dovere di fedeltà nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni”, il 1° giugno 1961 si incontrarono a Zernez (in Svizzera) dieci esponenti del BAS del Tirolo Settentrionale austriaco e del Sudtirolo. Congiuntamente decisero di compiere azioni di resistenza politica consistenti nell’eseguire attentati ai danni dei simboli del potere statale italiano, della colonizzazione e della politica di immigrazione ma impegnandosi a non mettere assolutamente a repentaglio vite umane. In quell’occasione fu fissata la data della “Notte dei Fuochi”.
Non prima del 1964 cadde però ogni remora: una reazione indubbiamente influenzata dalle notizie delle torture subite dagli attivisti BAS arrestati e dall’uccisione di Luis Amplatz, di altri attivisti e di civili totalmente estranei. I responsabili degli attentati ai danni delle persone furono sempre meno facilmente individuabili e, a partire dal 1964, è innegabile un coinvolgimento dei servizi segreti italiani in numerosi di quegli atti terroristici. Attraverso questa “strategia della tensione” si mirava a screditare e isolare gli attivisti, oltre che a esercitare pressioni sull’Austria.
Dal 1961 neofascisti italiani commisero in Austria attentati terroristici con spargimento di sangue. Gli autori restarono impuniti.
Conseguenze
Oltre a provocare sofferenze umane alle vittime degli anni Sessanta, il conflitto sudtirolese ebbe anche conseguenze dirette: già dalla fine degli anni Cinquanta l’Italia rinforzò infatti massicciamente le forze di sicurezza presenti in Sudtirolo, operando uno spiegamento di militari dell’Esercito, Carabinieri e Guardia di Finanza, oltre che di Forze di Polizia, e arrivando a schierare fino a 40.000 uomini. Fino al 1970 il Sudtirolo aveva le parvenze di un accampamento militare.
Anche l’Austria rafforzò la sorveglianza al confine, soprattutto per le forti pressioni esercitate dall’Italia a livello di politica estera, e puntò sull’impiego del “reparto concentrato” della Gendarmeria federale e nel 1967, dopo l’“episodio” di Cima Vallona, anche dell’esercito federale austriaco al confine.
L’effetto positivo che quegli anni difficili ebbero, sia per il Sudtirolo che, in ultima analisi, anche per l’Italia, fu la stesura nel 1969 del “Pacchetto per il Sudtirolo” che portò, nel 1972, al “Secondo Statuto di Autonomia”.
Vittime
Negli anni Sessanta persero la vita almeno 35 persone, nell’ambito del “conflitto sudtirolese”, e parecchie rimasero ferite. I motivi che portarono al sacrificio di vite umane sono tuttavia i più vari.
Benché fino ad oggi si continuino a imputare al Befreiungsausschuss Südtirol (BAS), il Comitato per la liberazione del Sudtirolo, le responsabilità per le perdite di vite umane fra gli Alpini, i Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Polizia, le circostanze della maggioranza degli attentati contro le forze dell’ordine italiane restano ancora oscure. Alcuni degli ex attivisti del BAS sono stati comunque nel frattempo condannati in Italia, anche per atti non commessi. L’Italia continua in ogni caso a respingere l’ipotesi di un’amnistia o una riabilitazione.
Polemiche a parte, ci preme qui commemorare tutte, indistintamente, le vittime del “conflitto sudtirolese”.
Ciascuna di queste vittime ha
infatti significato un passo sulla
strada per la libertà del Sudtirolo!