La “questione sudtirolese”

di Helmut Golowitsch

Novembre 1918

Affamata e ridotta allo stremo, l’Austria-Ungheria era ormai allo sfascio. La maggior parte delle truppe non austriache abbandonò il fronte per far ritorno in patria, e quindi negli stati nazionali in fase di nuova costituzione. Le condizioni di armistizio dettate dall’Italia costrinsero le truppe austro-ungariche a ritirarsi oltre la linea del Brennero. Le truppe italiane occuparono senza incontrare resistenze il Sudtirolo e il 10 ottobre 1920 vi fu l’annessione del territorio, una situazione ancora oggi indicata e celebrata dall’Italia come “gloriosa” vittoria. Circa 230.000 tirolesi passarono all’Italia, altri 300.000 tirolesi rimasero austriaci.

 

24 aprile 1921 “Domenica di sangue” a Bolzano

Squadre d’azione fasciste assaltarono un corteo organizzato nell’ambito della Fiera di Primavera a Bolzano, sparando e lanciando bombe a mano fra la gente. 50 sudtirolesi rimasero feriti, il maestro elementare Franz Innerhofer rimase ucciso.

 

28 ottobre 1922 Marcia su Bolzano

Presa di potere dei fascisti in Italia.

 

1923 – 1939 “Provvedimenti” per l’italianizzazione del Sudtirolo

Ettore Tolomei, a capo del piano fascista di trasformazione etnica del Sud-
tirolo e creatore dei toponimi italiani introdotti in Sudtirolo, annunciò il 15 luglio 1923 al Teatro Civico di Bolzano, su incarico del “Duce” Benito Mussolini, un programma destinato all’italianizzazione del Sudtirolo al quale si diede subito e prontamente attuazione.

 

1939 Le “opzioni”

Nell’ambito delle cosiddette “opzioni” pattuite fra Hitler e Mussolini, i sudtirolesi furono costretti a scegliere fra la cittadinanza del Reich o quella italiana. La terribile alternativa: perdere la propria terra o perdere l’appartenenza etnica. Circa 74.500 sudtirolesi abbandonarono a malincuore case e poderi di proprietà. Voci raccontano che chi decise di rimanere (i “Dableiber”) fu trasferito nel Meridione d’Italia.

 

1943 “Zona di operazioni nelle Prealpi”

Il cambio di alleanza dell’Italia e l’istituzione della sovranità tedesca sul Sudtirolo nel quadro della “Zona di operazioni nelle Prealpi” pose fine a quell’emigrazione. Inizialmente, i sudtirolesi di lingua tedesca esultarono all’arrivo della Wehrmacht, speranzosi che fosse giunto il momento della liberazione dall’oppressione fascista e della cessazione dei dislocamenti dei sudtirolesi. Gli auspici di un futuro migliore furono però di breve durata.

 

1945 Ritorno del fascismo in veste democratica

Per l’ennesima volta l’Italia era passata prontamente dalla parte dei vincitori ottenendo dagli Alleati l’assegnazione del Sudtirolo, ultimo residuo del bottino di guerra e “consolazione” per la perdita delle colonie africane, della costa dalmata e di buona parte dell’Istria. Il 1945 non portò in Sudtirolo alcuna reale svolta democratica. Il governo democristiano di Alcide de Gasperi aveva l’obiettivo dichiarato di mantenere a ogni costo il dominio italiano in Sudtirolo.

Nel 1923 il democristiano De Gasperi aveva sostenuto direttamente in prima persona la presa di potere fascista. Dopo la fine della guerra, molti di coloro che si erano compromessi sotto il fascismo si trasformarono in democratici e democristiani, venendo cioè integrati nella “Democrazia Cristiana” (DC). Fra di loro spiccano nomi del calibro di Giovanni Leone, Amintore Fanfani, Fernando Tambroni, Giulio Andreotti, Paolo Taviani e Giacinto Bosco.

Un ruolo particolare nell’Italia del dopoguerra fu svolto dal Ministro dell’Interno democristiano Mario Scelba che soffocò nel sangue i motti di indipendenza della Sicilia e i disordini comunisti servendosi di comprovati torturatori fascisti. Nelle province, Scelba contava sul sostegno dei prefetti insediati da Roma. Ancora nel 1960 erano ex fascisti 62 su 64 dei prefetti italiani di primo grado e tutti i 241 viceprefetti. Anche tutti i 135 questori (a capo della Polizia nelle province) e i loro 139 vice erano stati fascisti. [1]

 

La rifascistizzazione del Sudtirolo e l’ulteriore infiltrazione italiana

L’epurazione del servizio pubblico portata avanti nel ‘45 e ‘46 con la rimozione degli elementi fascisti dai loro incarichi si tramutò in Sudtirolo in un brutto scherzo. I funzionari fascisti furono infatti per la maggioranza riabilitati dalla Commissione statale di epurazione, mantenendo la propria “carica e dignità”, soprattutto nel settore della Giustizia. Sudtirolo fu il porto sicuro di molti fascisti esposti al rischio di vedere riemergere nelle altre province il proprio passato nel regime. Ai funzionari andarono ad aggiungersi molti esuli della Dalmazia e dell’Istria e abitanti delle povere regioni meridionali lì dirottati dallo Stato. Gli immigrati avevano immediato accesso agli alloggi popolari costruiti a migliaia in quegli anni e destinati solo per il 6% circa ai sudtirolesi. Gli immigrati avevano inoltre accesso immediato ai posti di lavoro nel servizio pubblico o a quelli nel privato dati in assegnazione dall’Ufficio del Lavoro e preclusi ai sudtirolesi. Fu così che ogni anno migliaia di giovani sudtirolesi si videro costretti ad emigrare: ben 7.000 nel solo 1959. Roma rendeva inoltre difficoltoso o impediva persino il rientro convenuto nell’Accordo di Parigi del 1946 dei circa 75.000 sudtirolesi che erano emigrati nell’ambito delle opzioni imposte nel 1939. A causa dell’ostruzionismo praticato dall’Italia furono infine solo 20-25.000 i ritorni alla terra di origine. L’obiettivo perseguito con questa “politica del 51%” consisteva nel creare quanto prima una maggioranza italiana sul territorio così da porre fine una volta per tutte alle aspirazioni di autodeterminazione dei sudtirolesi.

 

Un accordo falsato

Ben 155.000 firme raccolte clandestinamente fra la popolazione locale di lingua tedesca e ladina, pari alla quasi totalità della popolazione adulta del Sudtirolo, furono consegnate il 22 aprile 1946 al Cancelliere austriaco Leopold Figl in occasione di una manifestazione organizzata ad Innsbruck. I firmatari avevano sottoscritto una risoluzione che recitava: “È nostro irremovibile desiderio e volere che il Sudtirolo nostra terra patria venga ricongiunto, dal Brennero fino alla Chiusa di Salorno, al Tirolo Settentrionale e all’Austria!” In tutte le città si tennero manifestazioni di adesione. L’istanza presentata dall’Austria per l’autodeterminazione e il ritorno del Sudtirolo fu tuttavia respinta dagli Alleati il 30 aprile 1946 ma, su insistenza degli stessi, il 5 settembre dello stesso anno si giunse alla firma di un accordo fra Austria e Italia, noto come “Accordo di Parigi” o “De Gasperi-Gruber” dal nome dei due principali negoziatori, che prevedeva per la “Provincia di Bolzano” e i “vicini comuni bilingui della Provincia di Trento” (ossia i Comuni dell’Unterland, territorio sudtirolese, assegnati alla Provincia di Trento durante il regime fascista di Mussolini) un potere legislativo e amministrativo autonomo. Nel 1° Statuto di Autonomia del 1948 il potere di amministrazione  autonoma fu tuttavia trasferito alla Regione Trentino-Sudtirolo, imponendo l’unione forzata delle province di Trento e Bolzano e determinando la messa in minoranza dei sudtirolesi a fronte della stragrande maggioranza italiana della popolazione, anche nel Consiglio Regionale congiunto del “Trentino-Sudtirolo”, nel quale fino ad oggi si vedono a fronteggiare una maggioranza di due terzi dei consiglieri italiani.

 

“È una marcia funebre…”

L’Italia “democratica” portò nel frattempo avanti la politica di immigrazione fascista. Nel 1910 gli italiani residenti in Sudtirolo erano il 2,92%; fino al 1953 la loro quota salì fino ad arrivare al 33,55% della popolazione complessiva. Per favorire questa immigrazione dal Meridione promossa dallo Stato furono costruiti alloggi popolari. Dal 1946 al 1956 vennero creati nella sola città di Bolzano 4.100 alloggi popolari, dei quali 3.854 furono assegnati agli italiani e solo 246 ai sudtirolesi. Il leader spirituale dell’etnia di lingua tedesca, sacerdote e pubblicista, il canonico Michael Gamper così scrive il 28 ottobre 1953 sulle pagine del quotidiano di lingua tedesca “Dolomiten”: “Prosegue la voluta infiltrazione del nostro popolo. Molte decine di migliaia di persone sono immigrate nella nostra terra dalle province meridionali dopo il 1945 e dopo la stipula dell’Accordo di Parigi mentre al tempo stesso si vietava il ritorno di alcune decine di migliaia di nostri conterranei dislocati… È una marcia funebre quella di noi sudtirolesi, a meno che i soccorsi non arrivino all’ultimo momento.” [2]

 

Primi attentati del gruppo Stieler

Fra il settembre 1956 e il mese di gennaio del 1957 un gruppo di giovani riuniti intorno al tipografo Hans Stieler e ai suoi due fratelli commise primi attentati dimostrativi finalizzati a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica europea sulle vicende in atto in Sudtirolo. Hans Stieler e i compagni furono arrestati nel gennaio del 1957 e in parte gravemente seviziati con il ricorso a metodi di tortura già noti in epoca fascista.

 

Nascita del “Befreiungsausschuss Südtirol” (BAS)

Il commerciante di Frangarto Sepp Kerschbaumer fondò clandestinamente, assieme ad altri patrioti, il Comitato per la liberazione del Sudtirolo (“Befreiungsausschuss Südtirol” – abbr. BAS). Inizialmente le proteste furono attuate con mezzi pacifici, usando volantini, ciclostilati e scritte. Quando il 1° ottobre 1957 il Ministro italiano del Lavoro Giuseppe Togni annunciò la costruzione a Bolzano di un nuovo quartiere residenziale con 5.000 alloggi destinati agli immigrati italiani, il 16 ottobre 1957 il quotidiano “Dolomiten” mise in copertina parole di fuoco sotto il titolo “Tedeschi completamente tagliati fuori – Roma non bada a spese pur di insediare nuovi italiani.” Il 17 novembre 1957 circa 35.000 sudtirolesi partecipano a una grandiosa manifestazione popolare di protesta organizzata a Castel Sigmundskron. Mentre il leader del partito Südtiroler Volkspartei (SVP), il dott. Silvius Magnago, chiede nel suo discorso l’adempimento dell’Accordo di Parigi invocando una vera autonomia per il Sudtirolo al grido di “Los von Trient!” (via da Trento!), venivano distribuiti fra i presenti i volantini del BAS scritti da Sepp Kerschbaumer in cui si diceva: “Conterranei! Mai prima d’ora, nei quasi 40 anni di dominio italiano, il nostro popolo si è trovato in una situazione tanto pericolosa come quella attuale. Ciò che il fascismo non è riuscito a ottenere in quasi 20 anni di metodi di repressione violenta è stato pressoché raggiunto dall’Italia democratica in neanche 10 anni. Nonostante l’Accordo di Parigi! Ancora 10 anni di dominazione “democristiana” in Sudtirolo e avranno ottenuto quel che dall’inizio si prefiggevano: costringere i Sudtirolesi alla minoranza in casa propria… Conterranei! Il tempo sta scadendo… Sveglia, Sudtirolo! Preparatevi a combattere! A lottare per la nostra sopravvivenza. Ne va dell’esistenza o della cancellazione del nostro popolo! È in gioco la sopravvivenza dei nostri figli, e dei figli dei nostri figli! Vogliamo tornare ad essere liberi nella nostra terra, liberi come lo furono i nostri avi per oltre 1000 anni nel Sudtirolo austriaco!” La gente accorsa aveva portato striscioni e manifesti invocanti all’autodeterminazione e alla libertà. In un comunicato stampa rilasciato all’indomani del raduno, lo stesso Magnago aveva rivolto un appello a Roma: “Chi però non voglia ancora capire, non deve stupirsi se la pazienza di un popolo si esaurisce!”

 

Metodi di repressione fascista

In Sudtirolo la popolazione autoctona era continuamente esposta ad atti di repressione statale, scherno, oltraggio e diffamazione. Truppe d’azione fasciste disturbavano le assemblee della popolazione di lingua tedesca. La giustizia italiana continuava inoltre ad applicare con rigore gli articoli sulla repressione politica previsti dal codice penale fascista ancora in vigore, il “Codice Rocco”. La tinteggiatura delle imposte alle finestre con i colori del Tirolo veniva penalmente perseguita, al pari dell’issaggio della bandiera tirolese. Si arrivò anche a diversi processi per vilipendio, con la condanna di sudtirolesi per presunto oltraggio al potere statale o alla “nazione italiana”. Il popolo non avrebbe dovuto opporsi e a tenerlo a bada ci pensavano le forze “dell’ordine” statali.

 

“Domenica dei manganelli”

Allorquando il 21 febbraio 1960, dopo la messa nella Parrocchiale di Bolzano, i fedeli si apprestavano a deporre una corona davanti al monumento in memoria di Peter Mayr, combattente della lotta di liberazione del 1809, intonando il canto di Andreas Hofer, inno ufficiale del Tirolo, poliziotti del reparto celere attaccarono la gente a suon di manganelli. Alcuni dei fedeli furono arrestati, incatenati e condannati dal tribunale a svariati mesi di reclusione con la condizionale e con l’accusa di “istigazione”.

 

Primavera 1961 Scritte a fuoco sul muro

Dopo che l’Austria si era rivolta alle Nazioni Unite patrocinando la causa sudtirolese e che l’organizzazione mondiale con la risoluzione ONU n. 1497 del 31 ottobre 1960 aveva invitato Italia e Austria a condurre trattative, Roma riteneva ancora di poter evitare ogni forma di concessione e decise di chiudere i negoziati senza esito. Il Comitato BAS per la liberazione del Sudtirolo, sotto la guida di Sepp Kerschbaumer, sentì di dover ricorrere a misure spettacolari per richiamare l’attenzione mondiale sull’irrisolto problema del Sudtirolo. Gli uomini del BAS, per lo più semplici contadini, operai e artigiani, si prepararono a dovere, con l’aiuto di amici austriaci. Nel frattempo il BAS si era andato infatti organizzando anche in Austria. Gli amici e compagni austriaci li rifornivano di denaro, esplosivi, ma anche di armi per l’autodifesa. Sul territorio del Tirolo austriaco organizzarono corsi clandestini per la detonazione degli esplosivi. Uno dei sostenitori più attivi fu il commerciante di Innsbruck Kurt Welser, eccellente alpinista e ardente patriota tirolese. Anche alcuni politici austriaci come il Ministro degli Esteri Bruno Kreisky (SPÖ) e gli assessori tirolesi Aloys Oberhammer (ÖVP) e Rupert Zechtl (SPÖ), oltre a una serie di diverse personalità di spicco, erano stati messi al corrente dei progetti. “Sapevano”, dunque, approvarono e appoggiarono i piani degli attivisti del comitato BAS il cui scopo consisteva nel limitarsi a provocare danni materiali. Senza mettere a repentaglio vite umane. In Sudtirolo il vicesegretario SVP nonché consigliere provinciale Hans Dietl, i consiglieri regionali SVP Friedl Volgger e Peter Brugger e una serie di funzionari del partito figuravano tra le persone di fiducia del BAS. E più tardi, malgrado le torture, gli arrestati non ne fecero mai il nome. Il segretario del partito nonché Presidente della Provincia Silvius Magnago era sommariamente al corrente di quanto andava accadendo giacché gli attivisti del BAS, Sepp Kerschbaumer e Georg Klotz, gli avevano inequivocabilmente comunicato di voler mettere in atto operazioni di resistenza. Né Magnago negò di saperlo, qualche decennio più tardi, seppur dichiarando di avere sconsigliato Kerschbaumer e Klotz dal commettere atti illegali. Comunque sia, Magnago non fu di fatto messo al corrente dei dettagli delle operazioni imminenti. Non lo si voleva compromettere, né mettere in pericolo il partito. Nella notte che precedette il 30 gennaio 1961 alcuni attivisti del Tirolo Settentrionale e del Sudtirolo fecero saltare in aria il cosiddetto “Duce in alluminio”, un gigantesco monumento a Mussolini collocato davanti alla centrale elettrica di Waidbruck. In epoca fascista questo monumento era stato dedicato “Al Genio del Fascismo”.

Il 1° febbraio 1961 l’attivista BAS di Egna (Unterland) Josef Fontana fece saltare un ordigno che provocò un buco nel muro della villa del defunto senatore fascista Ettore Tolomei, disegnatore di tutti i provvedimenti di italianizzazione e repressione contro la popolazione sudtirolese di lingua tedesca. L’abitazione di Tolomei era assurta a luogo di pellegrinaggio fascista. A quegli episodi seguirono altri attentati compiuti contro edifici di nuova costruzione destinati a fornire alloggio agli immigrati.

 

Progetto di legge per la revoca della cittadinanza

Il 25 novembre 1959 il quotidiano “L’Adige”, organo ufficiale di partito della Democrazia Cristiana, accusò in un articolo i sudtirolesi di aver violato con le pretese di autonomia l’Accordo di Parigi. Considerato che, proprio in virtù di questo trattato, la maggioranza dei sudtirolesi che avevano optato per il Reich avrebbe riottenuto la cittadinanza italiana, il Governo avrebbe potuto sanzionarli, continuava l’articolo sul giornale DC. Il 6 febbraio 1961 alcuni senatori italiani proposero in Senato a Roma un disegno di legge “Per la revoca della cittadinanza ai cittadini italiani rei di condotte di infedeltà nei confronti della Repubblica” destinata a privare arbitrariamente della cittadinanza, in via meramente amministrativa, i cittadini sudtirolesi. Il quotidiano romano “Il Tempo”, vicino al Governo, scrisse che sarebbe stato sufficiente allontanare appena 10.000 “agitatori nazisti” per riportare la quiete in Sudtirolo. Non sarebbe stata nemmeno necessaria una deportazione in massa di 200.000 sudtirolesi di lingua tedesca. Il 27 aprile 1961 il disegno di legge fu approvato dal Senato su istanza dei senatori della Democrazia Cristiana; per l’entrata in vigore della legge mancava solo il consenso della Camera dei Deputati.

 

Fallimento dell’ultima trattativa prima della “Notte dei Fuochi”

Il 25 maggio 1961 il Ministro degli Esteri austriaco Kreisky, prendendo parte ai negoziati per il Sudtirolo organizzati a Klagenfurt, portò in dibattito il disegno di legge mirante a revocare la cittadinanza ai Sudtirolesi e disse in faccia al suo omologo italiano, il Ministro Segni, come la pensava: “L’agitazione in seno alla popolazione austriaca e sudtirolese raggiungerebbe livelli di gravità inauditi se questa legge venisse realmente decisa. Essa comporterebbe infatti la possibilità di sottrarre la cittadinanza italiana ai Sudtirolesi con mero atto amministrativo. Le dico già oggi che questo potrebbe avere le conseguenze più tragiche… Se questa legge sarà approvata, si instaurerà una situazione estremamente seria… Le dico però con piena serietà che se questa legge passerà, non ci saranno più trattative.” Segni rispose eludente che la questione non era di competenza del Ministro degli Affari Esteri bensì del Ministro degli Interni e asserendo di non credere “che la legge sia pensata come rappresaglia nei confronti dei sudtirolesi”. In ogni caso si sarebbe adoperato a “seguire la faccenda con la massima attenzione”. Ma non si fece strappare alcun impegno sulla questione.

I negoziati si chiusero il giorno stesso con un nulla di fatto perché la controparte italiana non era disposta a discutere di una modifica all’inadeguato Statuto di Autonomia in vigore. Un ampliamento delle competenze a favore della Provincia di Bolzano con legge statale o norme costituzionali era considerato impensabile perché il Parlamento italiano non avrebbe mai approvato una soluzione di quel genere.

Era quindi aperta la strada alla “Notte dei Fuochi” che fece finire fra la spazzatura della storia anche quel progetto di legge che mai arrivò ad essere discusso dalla Camera dei Deputati.

La „Notte dei Fuochi“

11 – 12 giugno 1961

Nella notte fra l’11 e il 12 giugno 1961, nella tradizionale domenica del Sacro Cuore, oltre 40 tralicci dell’alta tensione furono distrutti o gravemente danneggiati con attentati dinamitardi.

Il 22 giugno 1961 il Ministro dell’Interno italiano Scelba presentò alla Camera dei Deputati il resoconto dei danni: 37 tralicci dell’alta tensione abbattuti, una centrale elettrica fortemente danneggiata da un ordigno, otto centrali elettriche fuori uso. Solo due di nove linee elettriche aeree erano rimaste intatte. Completamente interrotta l’attività di alcuni stabilimenti nella zona industriale di Bolzano, con altri costretti a rallentamenti nella produzione. Tutte le stazioni ferroviarie temporaneamente paralizzate.

Franz Widmann, membro della direzione del partito SVP, racconta come visse a Bolzano la “Notte dei Fuochi”. Fu “tutto un tuonare la notte fra l’11 e il 12 giugno 1961. Poco dopo mezzanotte la zona intorno alla conca di Bolzano tremò per quasi due ore sotto violente esplosioni susseguitesi a brevi intervalli e che rischiaravano di colpo la notte per poi far ripiombare la città nelle tenebre ancor più profonde. C’erano finestre che saltavano, tanti abitanti della città che spinti dal panico si precipitavano sulle strade. Scene uguali ovunque, soprattutto in Val Venosta, nella zona di Merano e nel Burgraviato, nella Val d’Ulten e nell’Unterland. I “combattenti per la libertà del Sudtirolo”, come si firmavano nelle loro missive, si erano dati un gran daffare, come annunciato.” [3]

Oltre ai sudtirolesi avevano preso parte a quella ondata di attentati anche membri nordtirolesi del BAS. Gli attivisti scelsero gli obiettivi degli attentati in modo da non mettere possibilmente a repentaglio vite umane. Era quanto Sepp Kerschbaumer aveva preteso dai compagni e tutti erano concordi: la lotta per la libertà non avrebbe dovuto essere sanguinosa.

L’indomani, tuttavia, si verificò un tragico imprevisto. Il cantoniere Giovanni Postal rinvenne un ordigno legato a un albero nella Chiusa di Salorno: era rimasto inesploso per il mancato funzionamento dell’innesco a orologeria. Postal voleva rimuovere la carica esplosiva di propria mano ma l’ordigno deflagrò e il cantoniere perse la vita.

 

Stato di emergenza, ordine di sparare e premi

Con la “Notte dei Fuochi” il Comitato BAS per la liberazione del Sudtirolo aveva raggiunto un fondamentale obiettivo politico: richiamare gli sguardi di tutto il mondo sul Sudtirolo, su un focolaio di conflitto nel cuore dell’Europa. Roma dispiegò sul territorio in brevissimo tempo tante forze di Polizia, Carabinieri ed Esercito da trasformare presto Sudtirolo in una sorta di accampamento militare. Stando alle stime furono stanzionati in zona quasi 40.000 uomini, con un uomo armato in uniforme ogni cinque sudtirolesi. Un ordine segreto comandava di aprire immediatamente il fuoco in caso di avvicinamento dei civili agli edifici pubblici. L’ordine fu reso pubblico solo quando i due giovani sudtirolesi Josef Locher (dalle parti della Sarntal) e Hubert Sprenger (a Mals) vennero uccisi a colpi d’arma da fuoco.

Il 28 giugno 1961 il Segretario di Stato austriaco Franz Gschnitzer rese noto che per ogni “terrorista” colpito erano stati promessi ai militari italiani un premio di 20.000 lire e 14 giorni di licenza straordinaria.

 

Torture e morte

Il potere statale italiano si preparava intanto a una “soluzione” del problema: subito dopo la “Notte dei Fuochi”, il Ministro degli Interni democristiano Mario Scelba aveva disposto l’invio di un gruppo scelto di Carabinieri nella solitudine riservata delle caserme sul Monte Bondone. Erano all’incirca 200 uomini su 80 mezzi, accompagnati da 20 cani, mandati evidentemente sul posto per un corso del tutto particolare. Trascorso un mese, la misteriosa truppa se ne andò e gli uomini furono distribuiti nelle caserme dei Carabinieri in Sudtirolo.

Esattamente un mese dopo la Notte dei Fuochi fu fermato a Lasa il Maggiore degli Schützen Franz Muther e sottoposto nella caserma dei Carabinieri di Merano a un “trattamento particolare”, durato due giorni, fino a quando, sotto tortura, fece i nomi dei cospiratori. Seguirono quindi altri arresti con conseguente tortura, fra cui quello del Maggiore degli Schützen Jörg Pircher di Lana e dello stesso Sepp Kerschbaumer. Sconvolto, qualche residente e persino qualche villeggiante, sentì le urla provenire dai martoriati nelle caserme dei Carabinieri.

Sul Sudtirolo andò quindi abbattendosi un’ondata di arresti. A fine settembre 1961 erano ormai più di 140 le persone arrestate. Anche negli interrogatori si faceva ricorso senza scrupoli allo strumento delle torture. Sarcastici, gli aguzzini spiegavano alle vittime di avere ricevuto personalmente “carta bianca” dal Ministero dell’Interno e di poter dunque fare con i fermati quel che più li aggradava.

I metodi utilizzati, fra cui il famigerato metodo della “cassetta” in uso negli interrogatori dei mafiosi, furono terribili e ben documentati dalle vittime in svariati scritti. Il Presidente della Provincia Silvius Magnago fu raggiunto in quei giorni dalle notizie di numerosi detenuti che riferivano delle torture, ma non si mosse, per motivi di calcolo politico, e le torture continuarono dunque impunemente. In conseguenza delle percosse persero la vita i sudtirolesi Franz Höfler, Anton Gostner e anche il fondatore del Comitato BAS, Sepp Kerschbaumer. Altre vittime di quelle torture riportarono a vita danni alla salute e alcuni morirono prematuramente.

 

Umiliazioni per i torturati

Dopo che, da parte politica, nulla si era mosso malgrado le segnalazioni fatte in decine di lettere di denuncia delle torture, 44 detenuti sudtirolesi decisero di citare in giudizio con l’accusa di torture 21 carabinieri di cui conoscevano il nome. Solo sette di quelle denunce furono accolte dai giudici e dieci dei “carabinieri torturatori” portati avanti al Tribunale di Trento nel 1963. Tutti gli altri usufruirono dell’amnistia. In un processo non privo di incongruità giuridiche due carabinieri furono prima condannati e poi subito graziati; gli altri torturatori, invece, tutti assolti. Di lì a poco sarebbero stati ricevuti a Roma dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, il Generale nonché, più tardi, parlamentare neofascista Giovanni De Lorenzo, che li lodò per “l’impegno esemplare”, arrivando persino a insignirli di onorificenze e a promuoverli.

 

Il grande processo di Milano

Il 9 dicembre 1963 si aprì al Palazzo di Giustizia di Milano il processo contro 94 imputati sudtirolesi. Si trasformò in una brutale resa dei conti con la politica italiana poiché gli imputati ammisero con franchezza la responsabilità per quegli atti ponendo di fatto l’Italia sul banco degli imputati, sia sul piano politico che su quello morale e dei diritti umani. Sepp Kerschbaumer chiese al presidente del Tribunale dott. Simonetti: “Vorrei sapere se l’Italia, che ha invocato il diritto all’autodeterminazione per Trieste, è legittimata a punire i Sudtirolesi per la stessa richiesta.” In due giornate di interventi, Kerschbaumer fornì un quadro molto chiaro dei reati politici commessi dallo Stato italiano e delle rivendicazioni sudtirolesi: “Se lo Stato italiano avesse concesso a noi sudtirolesi i diritti che ci spettano, questa tragedia non sarebbe mai accaduta e noi saremmo a casa con le nostre famiglie.” Senza risparmiare nessuno, gli imputati descrissero anche i maltrattamenti subiti. L’andamento del processo modificò la posizione tenuta dall’opinione pubblica in Germania, in Austria e, parzialmente, anche in Italia. In Europa si cominciò a capire quale fosse il problema sudtirolese. Le sentenze in parte draconiane emanate il 16 luglio 1964 dopo quasi otto mesi di udienze dimostrano che gli imputati avevano profondamente colpito lo Stato italiano. Non avrebbe dovuto esserci più alcun altro processo che potesse vedere Roma sul banco degli imputati.

La lotta per la libertà impose una soluzione politica

I nomi di alcuni combattenti per la libertà rimasero ignoti, nonostante l’ondata di arresti seguita alla Notte dei Fuochi. Altri riuscirono a sfuggire all’ultimo momento, rifugiandosi per lo più oltre confine, in Austria. Fra questi, il Maggiore degli Schützen Georg Klotz (1919 – 1976), di Walten in Val Passiria, il Sottetenente degli Schützen Luis Amplatz, di Bolzano-Gries (1926 – 1964) e i “Pusterer Buibm” (noti in Italia come i “quattro bravi ragazzi della Valle Aurina”), Siegfried Steger, Sepp Forer, Heinrich Oberlechner ed Heinrich Oberleiter. Fuggirono in Austria, spingendosi occasionalmente oltre confine in solitaria o in compagnia di amici austriaci, per portare avanti la lotta intrapresa. Venuti a conoscenza delle crudeli torture subite dai compagni combatterono armati quella lotta, fermamente decisi a morire nello scontro a fuoco piuttosto che nelle mani dei torturatori. Ci furono altri interventi a mano armata e ci furono vittime tra i militari italiani.

In Sudtirolo nacquero nuovi gruppi di resistenza, dopo lo smembramento del BAS intervenuto in autunno. A organizzare i rifornimenti di esplosivi dall’Austria ci pensò il compositore e professore di musica Günther Andergassen di Innsbruck che occupò il posto dei militanti austriaci del BAS, divenuti pubblicamente noti. Condusse attentati anche in prima persona fino a quando, tradito, nella primavera del 1964 finì nelle mani dei Carabinieri.

Lo Stato italiano agì senza scrupoli nello scegliere i mezzi di intervento: continui arresti, terribili torture e pene detentive severissime in grandi processi. Si continuò a torturare sfacciatamente perché i principali responsabili politici austriaci e sudtirolesi tacquero per ragioni di politica estera e interna. Le denunce dei crimini commessi dai seviziatori, trapelate dalle carceri, vennero tenute sotto silenzio per non compromettere i rapporti di dialogo con Roma.

Un ruolo particolarmente cupo in queste vicende fu quello assunto dai servizi segreti italiani coinvolti, totalmente ignari degli strumenti di uno stato di diritto. Luis Amplatz fu colpito a morte nel sonno la notte del 7 settembre 1964 in un fienile alla Malga Brunner, in Val Passiria, da un assassino assoldato dal SIFAR (più tardi SID, SISDE, SISMI). Georg Klotz rimase gravemente ferito ma riuscì comunque, miracolosamente, a fuggire con le proprie forze oltreconfine, rifugiandosi nel Tirolo Settentrionale. Il killer Christian Kerbler, se ancora vivo, è tuttora latitante.

Un ragazzo totalmente estraneo, Peter Wieland di Olang, fu fermato il 24 settembre del 1966 da una pattuglia mentre rincasava da una prova di musica e, stando a quanto riferito da testimoni oculari, e pubblicato persino nelle pagine del quotidiano “Dolomiten”, fu letteralmente “giustiziato” a distanza ravvicinata, senza alcuna conseguenza per i responsabili in uniforme.

Presunti incidenti nei quali rimasero feriti o persero la vita militari italiani, furono dipinti con le motivazioni più assurde come “ingegnosi attentati” e nell’ambito di processi spettacolari si condannarono in contumacia i combattenti sudtirolesi a lunghe pene detentive. In un caso pare addirittura che un carabiniere sia stato vittima di una faida privata. Vittorio Tiralongo, colpito alle spalle da un’arma da fuoco a Selva dei Molini il 3 settembre 1964, sarebbe stato ucciso, stando alla ricostruzione di un ex compagno, dal suo superiore nel corso di un diverbio.

Il potere dello Stato non riuscì a spezzare la resistenza del BAS fino a quando, attraverso i negoziati, si trovò per il Sudtirolo una soluzione politica intermedia.

 

Una soluzione politica ormai ineludibile

Il mondo occidentale si attendeva dall’Italia che adottasse finalmente provvedimenti ragionevoli per spegnere il focolaio di tensioni acceso in una zona chiave dell’alleanza occidentale di difesa NATO.

Dopo che anche il 4 luglio 1961 i lunghi e complessi negoziati fra Austria e Italia furono dichiarati chiusi senza nulla di fatto con una nota verbale austriaca in risposta all’ostinazione mostrata da Roma, le cose ripresero presto a muoversi sotto la pressione degli attentati. Il Ministro italiano dell’Interno Scelba avviò trattative dirette con la Südtiroler Volkspartei (SVP) istituendo un’apposita commissione, nota come Commissione dei 19 e di cui faceva parte anche il leader del partito sudtirolese Silvius Magnagno, per trovare una soluzione al problema dell’autonomia. In un memorandum indicato come “segreto” destinato alla giunta del Tirolo Settentrionale e al Governo federale austriaco, la direttrice della “Ripartizione Sudtirolo” presso l’Ufficio della Giunta tirolese, la dott.ssa Viktoria Stadlmayer, scriveva il 18 agosto 1961, immediatamente dopo gli attentati dei mesi di giugno e luglio 1961: “da parte italiana pare ora esserci la disponibilità non solo a trattare con i sudtirolesi specificatamente sui singoli punti delle loro richieste bensì, in contatto permanente con loro, risolvere definitivamente i punti oggetto di controversia. Questo dimostra […] che Roma ha preso i recenti avvenimenti accaduti in Sudtirolo molto più sul serio di quanto voglia far credere la stampa italiana e che Roma ha ben chiaro che con gli arresti di massa la resistenza non viene in alcun modo sconfitta ma semmai, al contrario, addirittura potenziata, rischiando di estendersi ad ambienti che finora l’hanno respinta.” [4]

 

La resistenza genera pressioni internazionali su Roma 

Anche negli USA gli atti di resistenza compiuti dai sudtirolesi generarono sentimenti di allarme producendo pressioni diplomatiche su Roma affinché si trovasse una soluzione politica alla questione sudtirolese e riportando quindi la calma in un punto nevralgico dell’alleanza NATO. La Guerra fredda era allora ai livelli di massima allerta, con il rischio di trasformarsi in una guerra “calda” da un momento all’altro. Nel 1961 il governo comunista filosovietico della RDT fece erigere il muro di Berlino, nel 1962 la crisi di Cuba fece temere lo scoppio della Terza guerra mondiale con la possibilità dell’impiego di armi atomiche. Nell’ipotesi di un conflitto con il blocco orientale, la zona dell’Italia settentrionale era irrinunciabile per la NATO. Un focolaio di disordini da quelle parti era dunque tutt’altro che auspicabile. Il 29 agosto 1961 il rappresentante permanente austriaco alle Nazioni Unite, Franz Matsch, riferì a New York che l’ambasciatore USA all’ONU, Adlai Ewing Stevenson jr., gli aveva rivelato di avere “[…] cercato a Roma di far capire al signor Fanfani [allora Presidente del Consiglio in Italia, N.d.R] e al signor Segni [il Ministro italiano degli Esteri, N.d.R.] che a suo personale parere una soluzione a questo problema frapposto alla concezione europeista potrebbe essere conseguita solo con misure radicali di condiscendenza e non con mezzi termini, come avrebbe consigliato a Parigi ai Francesi sulla questione tunisina per lo sgombero da Bizerte.” [5]

Nel 1960 l’Austria aveva ottenuto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione che sollecitava le parti a riprendere i negoziati e che avrebbe accresciuto ulteriormente le pressioni internazionali sull’Italia. In un memorandum esplicativo trasmesso il 15 settembre 1961 alle Nazioni Unite, l’Austria faceva espresso riferimento agli attentati degli attivisti del BAS e al fatto che gli stessi rendevano imprescindibile una soluzione politica. “Deplorevolmente”, si legge nel memorandum austriaco, le trattative non avrebbero sinora “portato ad alcun risultato concreto… Frattanto la situazione sul posto si è inasprita… Alla luce degli sforzi infruttuosi compiuti per risolvere il problema a livello bilaterale e considerata la situazione tesa presente in Sudtirolo, il Governo federale austriaco, in qualità di contraente del pluricitato accordo [di Parigi, N.d.R.], si vede spinto e obbligato a chiedere che la questione venga trattata dall’Assemblea Generale in programma quest’anno.” [6] 

Ogni qual volta le consultazioni e i negoziati in seno alla Commissione per l’Autonomia, la “Commissione dei 19” composta appunto da 19 membri, sembravano subire una battuta d’arresto, gli attentati del BAS costringevano Roma a deporre il suo atteggiamento ostruzionistico.

A metà degli anni Sessanta, tuttavia, la situazione cambiò: soprattutto quando, su pressione del Presidente del Consiglio Aldo Moro, risultati nei negoziati sembravano essere a portata di mano, si verificarono attentati dalle fattezze sempre più strane e con crescenti tributi di vite umane. La versione ufficiale italiana ascriveva questi attentati alle responsabilità degli attivisti del BAS ma portavano molto probabilmente la firma di agenti dei servizi segreti italiani e in particolare dei membri dell’organizzazione di tipo “stay behind” Gladio.

Alla fine di tutto questo vi fu poi la soluzione autonomista prodotta con il “Pacchetto per il Sudtirolo” accolto solo a ristretta maggioranza nel 1969 dall’assemblea provinciale della Südtiroler Volkspartei. L’Italia doveva ormai concedere un’autonomia: pur mantenendo comunque la Regione Trentino-Sudtirolo, al Sudtirolo come “Provincia Autonoma di Bolzano” fu riconosciuta un’ampia autonomia provinciale. Nel 1972 entrò in vigore il Nuovo Statuto di Autonomia. I gruppi etnici tedesco e ladino riuscirono progressivamente, e con mezzi pacifici, a rafforzare le proprie posizioni. Il popolo tirolese di lingua tedesca e ladina ha pertanto superato il fascismo, e la politica neofascista di denazionalizzazione, solo dopo il 1945, anche se con molte vittime cadute infine fra tutte le parti. Spetta ora alle nuove generazioni proseguire sul cammino della libertà e conseguire l’obiettivo dell’autodeterminazione democratica.

 

La lotta di liberazione pone fine alle infiltrazioni

Il 2 gennaio 1965 sulle pagine del quotidiano “Salzburger Nachrichten” si leggeva: “Al momento il processo di immigrazione si è di fatto totalmente arrestato. Nessuno vuole spostarsi in una zona in cui scoppiano le bombe e vengono commessi subdoli attentati.”

Con le misure di immigrazione mirata, il numero degli italiani presenti in Sudtirolo era cresciuto continuamente, passando dal 3% circa all’epoca dell’annessione nel 1920 al 36% circa nel 1960. Tutti gli sforzi volti a fermare con mezzi politici l’immigrazione diretta dallo Stato erano fino allora falliti. Non era difficile per i sudtirolesi immaginare che quella immigrazione relativamente lineare avrebbe portato, a medio termine, a una maggioranza italiana sul territorio. Le forme di resistenza violenta attuate in quegli anni cambiarono tutto. Lo sviluppo demografico indicava che l’immigrazione si era ampiamente arrestata. Nel 1971 la percentuale italiana della popolazione era del 33,3%, passando al 28,7% nel 1981 e scendendo solo al 26,5% nel 2011.

 

L’intransigenza del potere statale

Roma non ha finora mai ammesso che anche a seguito della lotta messa in atto dagli attivisti del BAS la politica di infiltrazione e denazionalizzazione portata avanti in Sudtirolo è andata arrestandosi e la prevista legge per la revoca della cittadinanza è stata fatta cadere. Né l’Italia si è mai preoccupata di ammettere pubblicamente che lo Stato si sia servito di metodi sporchi e torture. A tutt’oggi nessun politico italiano ha preso le distanze da quei terribili crimini degli anni Sessanta, per non parlare delle promesse di indennizzo economico fatte agli attivisti del BAS vittime di torture. Certo, qualche anno fa, veniva concessa la “grazia” ad alcuni attivisti sudtirolesi. Ma i “Pusterer Buibm” e altri ex attivisti del BAS ora in Austria o in Germania attendono ancora invano una riabilitazione da parte del Presidente italiano, anche per quei crimini che, stando agli atti frattanto disponibili, non potrebbero avere nemmeno commesso!

Una retrospettiva: la denigrazione della lotta per la libertà

La politica italiana, come la maggior parte dei media italiani, primi fra tutti quelli di stampo neofascista, reagirono alla “Notte dei Fuochi” tacciando gli autori di essere incorreggibili “pangermanisti” e “nazisti”. Una parte dei media austriaci e tedeschi riprende ancora oggi pedissequamente questa dicitura. Quando gli attivisti sudtirolesi del BAS, e Sepp Kerschbaumer avanti a tutti, misero di fatto sul banco degli imputati la politica postfascista di Roma con la franchezza mostrata nel 1964 davanti al tribunale in occasione del primo processo milanese sul Sudtirolo, impartendo una lezione di storia alla stampa europea riunita, la “campagna di accuse naziste” contro i Sudtirolesi avrebbe dovuto di fatto crollare. Davanti al mondo intero era infatti emerso che gli attentati non erano stati opera di pazzi ideologici ed estremisti ma di gente per bene, proveniente dagli ambienti cattolici, per lo più vicini a un partito (la “Südtiroler Volkspartei”) che, per la sua visione del mondo, era semmai conservatore, intervenuti letteralmente per la disperazione provata di fronte alle sorti delle loro genti e oppostisi a una proroga della politica fascista perpetrata con le parvenze di un’Italia democratica. La campagna denigratoria fu dunque portata avanti dalla maggioranza dei media italiani e da qualche media austriaco contro i militanti austriaci del BAS. Fra tutti si distinse, per primitività di espressione e causticità degli oltraggi, il giornale viennese “Arbeiterzeitung” (organo del partito socialista austriaco SPÖ). Pur riconoscendo che gli uomini della prima ora si erano prefissati di non mietere vittime, il quotidiano proseguiva argomentando che, dopo la Notte dei Fuochi, vi si sarebbero accodate forze ben diverse, soprattutto della “destra”, mettendo consapevolmente in pericolo le vite umane. Fu asserito questo nonostante il fatto che pressoché tutti coloro che venivano così aggrediti mediaticamente facessero invece già parte del gruppo nel 1961, partecipando alla Notte dei Fuochi, o fossero intervenuti in Sudtirolo assieme agli amici sudtirolesi come Luis Amplatz e Georg Klotz. Aggrediti sul piano ideologico, gli attivisti del BAS ebbero il merito di evitare di informare nel dettaglio l’opinione pubblica sul fatto che i socialisti Dr. Bruno Kreisky e Rupert Zechtl erano fra coloro che “sapevano” e avevano in un certo senso cospirato con il BAS. Se anche solo uno di loro, indignato, si fosse sentito spinto a farlo, il grado di compiacimento a Roma sarebbe stato enorme. I membri austriaci del BAS provenivano in realtà da tutti gli ambienti politici, fatta eccezione per l’estrema sinistra. C’erano lo studente appartenente alle associazioni cattoliche, quello aderente alle unioni studentesche nazionaliste germaniche, il funzionario dell’unione agricoltori del partito popolare austriaco ÖVP e l’operaio socialdemocratico, tutti riuniti in un’unica alleanza. Alcuni esponenti del BAS, come il pubblicista ed etnologo Wolfgang Pfaundler, il professore universitario Dr. Helmut Heuberger o l’agricoltore Hans Dzugan, erano stati durante il Terzo Reich tra le fila della resistenza antinazista. Il leader nordtirolese del BAS ed ex combattente della resistenza contro il regime nazista, Helmut Heuberger, si è espresso contro la distinzione, operata da certi media, fra attivisti “buoni” e “cattivi”: “Soprattutto nella preparazione degli eventi del 1961, la disponibilità verso un’azione congiunta era indistintamente più importante del dibattito sulle diverse posizioni pur esistenti anche in seno al gruppo. L’obiettivo, ossia aiutare i sudtirolesi e, con interventi congiunti, richiamare l’attenzione, assieme a loro, su una situazione di sempre maggiore minaccia, era fuori discussione. Che cosa ci avrebbero guadagnato se quelli che prestavano un aiuto gradito ai Sudtirolesi si fossero estromessi a vicenda per le divergenze politiche? Chi abbia già provato un simile rischio, quello di perdere la propria esistenza o la propria vita, sa bene quanti pochi siano seriamente disposti ad affrontarlo.” [7]

Anche gli attivisti già arrestati in Sudtirolo erano più che d’accordo sul proseguire con la resistenza. Nel 1966 Jörg Pircher, attivista BAS di Lana, scrisse una lettera, clandestinamente portata fuori dal carcere, in cui si rivolgeva agli amici ancora in libertà con queste parole: “Non resta alcun’altra strada che portare avanti la lotta per la libertà, anche se sarà lunga e tortuosa, è comunque l’unico modo per liberarsi dal giogo dell’oppressione, per porre fino al dominio colonialista, per prevenire in extremis l’assimilazione e per salvare la cultura germanica nel sud… Se non ci riusciremo questa volta, il Sudtirolo sarà perduto per sempre e quel che ci attende può intuirlo solo colui che sia stato torturato da questi aguzzini.” [8] 

Gli amici a cui si rivolgeva Jörg Pircher portarono avanti la lotta fino alla soluzione intermedia del “Pacchetto” adottato nel 1969 e di fronte al pericolo di morire, di compromettere la propria esistenza professionale, di venire arrestati e torturati, i giornalisti che li dileggiavano o, più tardi, gli storici che avrebbero ripreso e diffuso la versione italiana dei fatti erano davvero l’ultimo dei loro pensieri. Intervenire contro di loro non solo era privo di senso ma sarebbe stato persino controproducente: gli attivisti del BAS avrebbero finito per far “saltare” con le bombe l’autodeterminazione per il Sudtirolo, ossia l’obiettivo che il BAS aveva perseguito fin dall’inizio.

Uno studio più attento e un’esegesi più lucida degli atti disponibili sulla questione sudtirolese porta a un quadro diametralmente opposto: senza l’intervento degli attivisti del BAS e i conseguenti “intrecci” di politica estera ed interna prodottisi fino alla cosiddetta “strategia della tensione”, l’Italia difficilmente sarebbe stata disposta a concedere al Sudtirolo l’autonomia già assicurata per trattato nel 1946 ma poi ridotta ad absurdum attraverso la maggiorizzazione italiana nella realtà coatta della Regione Trentino – Sudtirolo!

Giudizi dei testimoni dell'epoca

I testimoni dell’epoca, personalità della vita pubblica di allora e politici tirolesi di oggi,
sono giunti per la maggioranza a esprimere giudizi analoghi:

 

Anthony Evelyn Alcock
Storico, esperto del Sudtirolo, Professore alla New University of Ulster

“La politica per il Sudtirolo portata avanti dai governi italiani degli anni Cinquanta fu sicuramente chiara e coerente nell’intento di circoscrivere la minoranza sudtirolese così da eliminare il pericolo che rappresentava per la popolazione italiana della provincia e per la sicurezza dello Stato. Ma le bombe scoppiate nella notte del Sacro Cuore fecero saltare in aria questa politica.” [9]

 

Gerd Bacher (19252015)
Giornalista, Direttore generale dell’emittente radiofonica austriaca ORF, attivista BAS austriaco della prima ora

“Gli attentati dinamitardi commessi a sud del Brennero hanno prodotto in poche settimane ciò che era rimasto precluso a oltre quattro decenni di politica moderata per il Sudtirolo: l’opinione pubblica prende atto del problema in quanto tale. Non sono le argomentazioni a contare, né l’ingiustizia a scuotere, non è la buona causa ad essere importante. Le voci inneggianti alla moderazione, alla pazienza e alla ragione restano inascoltate nel discorso politico fino a quando il fragore spaventa e impietrisce tutti. Il grande stupore arrivò tutto d’un tratto: perché accadde ciò che da molti anni era ormai nell’aria.” [10]

“È pressoché fuori discussione il fatto che il cosiddetto “Pacchetto” e con esso l’odierna situazione dei Sudtirolesi non si sarebbero prodotti senza la drastica fase di quegli anni.” [11]

 

Luis Durnwalder
Per diversi anni Presidente della Provincia.“Per mantenere viva la patria… occorre lottare ogni giorno, ha ammonito il Presidente della Provincia. Nulla ci viene mai regalato, bisogna vivere queste idee e impegnarsi a difenderle… Anche negli anni Sessanta ci sono state persone che hanno seguito questa idea [l’idea di libertà di Andreas Hofer N.d.A.]. La situazione che viviamo qui oggi la dobbiamo anche a loro, ha sottolineato il Presidente della Provincia.” [12]

“…‘Il sostegno dell’Austria e gli sforzi dei combattenti per la libertà’ avrebbero contribuito a far sì che i negoziati per un’autoamministrazione, un’autonomia, portassero ‘in così breve tempo’ a un risultato.” [13] 

Dopo che nell’aprile 2009 la Südtiroler Volkspartei (SVP) aveva acconsentito in Consiglio provinciale all’accoglimento di una mozione del gruppo “Süd-Tiroler Freiheit” in cui si chiedeva la concessione della grazia per gli ex combattenti per la libertà del Sudtirolo, il Presidente della Giunta provinciale Durnwalder e l’Assessore provinciale Berger (entrambi SVP) difendevano in una conferenza stampa la modalità di azione adottata: “Il Presidente della Provincia Durnwalder e l’Assessore Berger non si sono però lasciati rimproverare di avere commesso un passo falso nell’avere usato in aprile il termine ‘combattenti per la libertà’. ‘Non mi pento di nulla. Anche Garibaldi per qualcuno è un eroe e per altri no: ognuno la pensi come vuole’ afferma Durnwalder. Ancora più chiare, le parole di Berger: ‘Fintanto che si parla dei nostri Sudtirolesi non mi vergogno a usare il termine di combattenti per la libertà.’” [14] 

 

Felix Ermacora (1923-1995)
Già professore universitario di diritto statale e amministrativo all’Università di Vienna, esperto di diritto internazionale, membro della Commissione europea dei diritti dell’uomo e della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, relatore ONU, Deputato al Parlamento austriaco, Direttore dell’Istituto Ludwig Boltzmann per i diritti umani, autore di opere fondamentali in materia di diritto internazionale, costituzionale e storia.

“Nell’estate del 1961 emerse un nuovo elemento nella questione sudtirolese: la resistenza organizzata e sistematica contro il potere statale italiano con l’obiettivo di difendere il diritto all’autodeterminazione.” [15]  

Proprio questa resistenza avrebbe destato l’interesse mondiale per la questione sudtirolese.

 

Bruno Hosp
Già Segretario provinciale SVP sotto Magnago, per anni Assessore provinciale alla Cultura, in passato Maggiore federale e Comandante provinciale del Südtiroler Schützenbund, ex Sindaco del Comune di Renon.

“Chi abbia vissuto da vicino quegli anni difficili, persino turbolenti, non nutrirà dubbi sul fatto che gli attivisti degli anni Sessanta con il proprio accorato impegno e gli enormi sacrifici abbiano contribuito in maniera decisiva all’ottenimento della nuova, e dal punto di vista qualitativo, incomparabilmente migliore autonomia del Sudtirolo.” [16] 

 

Peter Jankowitsch
Diplomatico austriaco, Capo di Gabinetto del Cancelliere federale austriaco Dr. Bruno
Kreisky e Ministro degli Esteri austriaco.

“Niente Commissione dei 19 senza gli attentati!” [17] 

 

Rudolf Lill
Storico tedesco, Professore e Direttore del Centro per la ricerca sulla resistenza al Nazionalsocialismo nel Sudovest tedesco dell’Università di Karlsruhe nonché ex Segretario generale del Centro italo-tedesco Villa Vigoni.

“Questa soluzione [della questione sudtirolese, N.d.R.] la dobbiamo però anche agli attentatori degli anni Sessanta. Nel complesso del processo di democratizzazione, gli attentati ebbero un effetto positivo. Con queste azioni si fece chiaramente capire alla classe dirigente italiana che con lo spirito e l’idea fascista di italianizzazione non si sarebbe risolto il problema sudtirolese. Gli attentati hanno promosso in maniera decisiva questo processo di revisione delle idee e di democratizzazione.” [18] 

 

Silvius Magnago (1914−2010)
Per diversi anni Presidente della Giunta provinciale di Sudtirolo e Presidente della Südtiroler Volkspartei.

“Gli attentati di allora e i processi che ne seguirono rientrano, come molti altri eventi, nell’ambito della storia del dopoguerra del Sudtirolo e costituiscono un importante contributo per questa storia e per l’ottenimento di una migliore autonomia per il Sudtirolo: va constatato che fino ad allora l’Italia aveva praticamente sempre messo in discussione la questione sudtirolese, asseriva di avere già adempiuto all’Accordo di Parigi e si era rifiutata, fatta eccezione per alcuni infruttuosi colloqui, di entrare in trattative concrete con l’Austria.” [19] 

“L’insediamento della Commissione dei 19 è certamente avvenuto sulla scia degli eventi di allora; è triste dover constatare che, come spesso accade a questo mondo, gli Stati si muovono solo dopo che sia stata usata la violenza, anziché darsi da fare per tempo e nell’esercizio dei poteri e doveri democratici.”[20]

FF-Magazin:  “E quindi gli attentati sono serviti a qualcosa?”
Magnago: “Non fornisco interpretazioni. È un’idea che può farsi chiunque dopo che gli ho spiegato come e in quale momento si giunse all’istituzione della Commissione dei 19.”
FF-Magazin:  “Allora adesso sarebbe giunto il momento di dire grazie agli attentatori?”
Magnago: “Se penso al colloquio Magnago-Scelba, allora possiamo senz’altro dir loro grazie. In ogni caso più “grazie” che “non grazie.” [21]

 

Ennio Maniga (1904−1977)
Giurista italiano, Sostituto alla Procura Generale dello Stato

Anche a livello internazionale, con risoluzioni ONU, l’Italia è esposta a una pressione costante che potrebbe infine indebolire lo Stato. Potremmo arrivare a un punto in cui l’Italia dice: “basta adesso, con questo sacrificio di uomini, denaro, materiale, sangue e lacrime. Prendetevi il Sudtirolo e lasciateci in pace! [22]

 

Harald Ofner
Avvocato, Deputato al Parlamento austriaco, ex Ministro austriaco della Giustizia

“I sacrifici dei sudtirolesi, è passato ormai qualche decennio, non furono solo eroici ma anche fruttuosi. Non dobbiamo permettere che nessuno ce lo neghi. Dando uno sguardo alle statistiche si capisce che dalla Notte dei Fuochi i timori per una marcia funebre non ci sono più. So che molte cose sono rimaste da fare ma la Notte dei Fuochi e tutto quello che è poi venuto hanno segnato una svolta.” [23]

 

Franz Pahl
Segretario provinciale giovanile e vicepresidente della Giovane Generazione SVP, Consigliere provinciale, Consigliere regionale, Assessore regionale, Presidente del Consiglio regionale del Trentino-Sudtirolo.

“Con grandissima probabilità, senza questa lotta per la libertà, da parte italiana non ci sarebbe stata la disponibilità alle trattative che poi portarono al Pacchetto…” [24]

“Anche i massimi esponenti del partito popolare non esitano ad osservare che la nostra autonomia è divenuta realtà non solo grazie agli sforzi negoziali ma anche, significativamente, per merito della pressione esercitata dalla dinamite. Gli storici futuri annoteranno questo fatto nei libri di storia…” [25]

 

Elmar Pichler-Rolle
Presidente SVP

“‘Ritengo giusto tributare il dovuto rispetto a questi uomini’ afferma Pichler-Rolle. A suo dire, gli uomini intorno a Sepp Kerschbaumer avrebbero dato un contributo decisivo a fare della nostra terra cioè che oggi è’.” [26]

 

Ernst Trost (1933−2015)
Storico, colonnista e redattore del quotidiano austriaco “Kronen Zeitung”

“… fino a quando non caddero i primi tralicci dell’alta tensione, per gli italiani non esisteva alcun problema sudtirolese. Si rifiutavano di trattare seriamente in merito alle sorti di quella che definivano la ‘minoranza più fortunata d’Europa’. Nel frattempo molte cose sono cambiate in Sudtirolo. Agli italiani sono state strappate molte concessioni e la posizione dei sudtirolesi è sensibilmente migliorata. All’inizio di questo processo c’erano però gli uomini intorno a Kerschbaumer, Amplatz e Klotz. Senza l’ondata terroristica gli italiani non si sarebbero mai scomodati a cedere.” [27]

Karl Zeller
Giurista, senatore SVP, già Deputato alla Camera

“Anche il Deputato Zeller vede negli attentati dei ‘dinamitardi’ il punto di partenza di una nuova disponibilità dello Stato italiano a trattare.” [28] 

 

Luis Zingerle
Consigliere provinciale SVP, ex Presidente del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e Vicecomandante provinciale del Südtiroler Schützenbund

“Franz Höfler e tutti coloro che combatterono per la libertà negli anni Cinquanta e Sessanta si sono prodigati a fare sì che il mondo vedesse l’ingiustizia vissuta dalla terra tirolese” asserisce Zingerle. I combattenti per la libertà avrebbero prestato alla patria tirolese “un servizio valido e necessario, enorme e assolutamente indispensabile”. “I loro sforzi e sacrifici concorsero in maniera decisiva a spianare la strada al secondo Statuto di autonomia ponendo fine alla marcia funebre dei tirolesi a sud del Brennero.”  [29] 

 

Friedl Volgger (19141997)
Combattente della resistenza sudtirolese, giornalista e Parlamentare SVP, figura importante nell’ottenimento dell’Autonomia provinciale.

“Secondo il mio personale giudizio, la Notte dei Fuochi nella domenica del Sacro Cuore del 1961 segnò l’avvio di una nuova fase nella politica per il Sudtirolo. Roma si decise finalmente a dedicare alla questione la dovuta attenzione. Senza gli attentati, il Governo non si sarebbe mai mosso a istituire una commissione incaricata di studiare sotto tutti i punti di vista la questione sudtirolese e sottoporre proposte al Governo. I lavori della Commissione, chiamata “dei 19” per il numero dei suoi membri, hanno dato il via al nuovo Statuto di Autonomia. Sepp Kerschbaumer, morto in carcere nel 1964, e i suoi compagni hanno dato un contributo essenziale al raggiungimento della nuova autonomia.”[30] 

 

Giunta provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano

“La Commissione dei 19 deve essere vista anche in relazione alla Notte dei Fuochi in Alto Adige, notte in cui vennero fatte saltare in aria decine e decine di tralicci delle linee elettriche. Gli attentati, nei quali ci si premurò scrupolosamente di salvaguardare le vite umane, portarono l’Alto Adige al centro dell’attenzione pubblica europea a cui l’Italia è costretta a rendere conto.” [31] 

  1. Gianni Cipriani, Lo Stato Invisibile, Milano 2002, p. 168 seg.
  2. „Dolomiten” dal 28. Ottobre 1953
  3. Franz Widmann, Es stand nicht gut um Südtirol,Bozen 1998. p. 561.
  4. Memorandum di Viktoria Stadlmayer del 18. 8. 1961, Archivio regionale tirolese, Sezione S, 1961.
  5. Franz Matsch (New York) an Bruno Kreisky (Wien), Österreichisches Staatsarchiv, Archiv der Republik (ÖStA/AdR), Bundesministerium für Auswärtige Angelegenheiten (BMfAA), II-pol, Südtirol 2 B/A Zl 30.548-Pol/61.
  6. Erläuterndes UNO-Memorandum Österreichs vom 15.9.1961, ÖStA/AdR, BMfAA II-pol, Südtirol 2 B/A Zl 34.057-Pol/61.
  7. Helmut Heuberger, Zur Sache. In: Otto Scrinzi (Hrsg.), Chronik Südtirol 1959–1969. Von der Kolonie Alto Adige zur autonomen Provinz Bozen. Graz-Stuttgart 1996, S. 16.
  8. Sepp Mitterhofer/Günther Obwegs (Hg.), „… Es blieb kein anderer Weg …“ Zeitzeugenberichte und Dokumente aus dem Südtiroler Freiheitskampf. Meran. Auer 2000, S. 237f.
  9. Anthony Evelyn Alcock, Geschichte der Südtirolfrage. Südtirol seit dem Paket 1970 bis 1980. Wien 1982, S. 200.
  10. “Die Presse”, 18 luglio 1961.
  11. “Die Zeit”, 18. 5. 1984.
  12. “Dolomiten” del 18 febbraio 2002. Articolo sul discorso tenuto da Luis Durnwalder alle celebrazioni commemorative per Andreas Hofer il 17 febbraio 2002 a Merano.
  13. “Tiroler Anzeiger”, 2 aprile 2005. Luis Durnwalder in occasione dei festeggiamenti per il sessantesimo anniversario di fondazione della SVP.
  14. “Dolomiten”, 21 maggio 2009.
  15. ,,Berichte und Informationen des österreichischen Forschungsinstituts für Wirtschaft und Politik”, Nr. 1172, 7. Februar 1969.
  16. Bruno Hosp, „50 Jahre ,Feuernacht‘ – Wendepunkt für Südtirol”. In: „Tiroler Schützenkalender” 2011.
  17. Dr. Peter Jankowitsch in occasione della presentazione della pubblicazione di Hubert Speckner, Von der „Feuernacht“ zur „Porzescharte“ …. Das „Südtirolproblem“ in den österreichischen sicherheitsdienstlichen Akten. Wien 2016 il 28 novembre 2016 presso il Café Landtmann di Vienna.
  18. Il Prof. Univ. Dr. Lill nell’intervista rilasciata sul suo libro “Geschichte Südtirols 1918 bis 1948. Nationalismus, Faschismus, Demokratie” alla Südtiroler “Z – Zeitung am Sonntag” del 27 gennaio 2002.
  19. Volksbote”, organo di partito della SVP, datato 8 aprile 1976.
  20. Dr. Silvius Magnago il 24 marzo 1976 all’assemblea generale della SVP a Merano.
  21. Dr. Silvius Magnago nel numero di giugno 2001 della rivista altoatesina “FF” in occasione della commemorazione del quarantennale della “Notte dei Fuochi”.
  22. Dr. Maniga nella sua arringa accusatoria nel processo di appello al primo processo milanese sul Sudtirolo il 23 maggio 1966.
  23. Dr. Harald Ofner il 6 marzo 1999 al Parlamento di Vienna in occasione del ricevimento di una delegazione di ex combattenti sudtirolesi per la libertà.
  24. “Schicksal Südtirol 1945 – 1979”. Opuscolo pubblicato nel 1979 dalla Giovane Generazione della Südtiroler Volkspartei (SVP).
  25. Dr. Franz Pahl, Presidente del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige, nel 1984 nella rivista “Tiroler” pubblicata a Lana con il titolo “Werden nur Tote gefeiert?” (it. Si celebrano solo i morti?).
  26. Elmar Pichler-Rolle in occasione della commemorazione di Sepp Kerschbaumer a San Paolo.  Il giornale “Dolomiten” ne riferisce il 10 dicembre 2005.
  27. “Kronen-Zeitung”, gennaio 1976. Citato in:  Robert. H. Drechsler, Georg Klotz. Der Schicksalsweg des Südtiroler Schützenmajors 1919 – 1976. Wels 1976, p. 247 seg.
  28. Articolo di Peter Seebacher pubblicato nel quotidiano altoatesino “Tageszeitung” del 18 settembre 1999 sulla tavola rotonda tenuta a Cortaccia il 16 settembre 1999.
  29. Dr. Luis Zingerle il 18 novembre 2001 a Lana nel suo discorso di commemorazione del compagno degli Schützen Franz Höfler, della compagnia degli Schützen di Lana, morto il 22 novembre 1961 per le conseguenze delle torture subite. In: “Der Tiroler”, n. 53, Vol. 1/2001. p. 19.
  30. Friedl Volgger, Mit Südtirol am Scheideweg. Innsbruck 1984, p. 250.
  31. Südtiroler Landesregierung (Hrsg.), Südtirol-Handbuch 1997. Bozen 1997